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Slow fashion: perchè il mondo della moda deve rallentare

Slow fashion: perchè il mondo della moda deve rallentare

Mentre il mondo della moda va alla velocità della luce, ci sono brand che per diverse ragioni decidono di rallentare. La slow fashion si muove lentamente in un’ottica di moda etica e sostenibile per l’ambiente. Continua a leggere l’articolo per saperne di più su questo mondo!

Fast o Slow: a che velocità sta andando il mondo della moda?

La fast fashion ha invaso con prepotenza tutto il settore della moda negli ultimi anni. Ne fanno parte tutti quei capi prodotti rapidamente in risposta alla domanda dei consumatori di abbigliamento economico e in linea con le tendenze del momento. L’obiettivo è quello di poter soddisfare la domanda dei consumatori in modo adeguato con una produzione in serie, spesso di bassa qualità per poter mantenere i prezzi il più bassi possibile. Tutto questo è in pieno contrasto con quelli che sono i principi dell’abbigliamento etico e sostenibile, sostenuto invece dalla slow fashion.

Questo movimento di “moda lenta” sostiene metodi di produzione etici e a basso impatto ambientale, per salvaguardare il pianeta e proteggere chi lavora in questo settore dallo sfruttamento, da orari interminabili di lavoro e stipendi pressoché imbarazzanti. Chi lavora, come Pope Joan, in questa ottica, crea capi di abbigliamento fatti per durare nel tempo, invece che essere indossati un paio di volte e poi gettati via o dimenticati nell’armadio. Ad esempio, un jeans Levi’s vintage ha già superato la prova del tempo: attraverso l’upcycling lo trasformiamo in un pezzo unico da custodire nella propria collezione e sfoggiarlo per esprimere la propria personalità.

Invece di concentrarsi sui profitti a breve termine, questo movimento slow si impegna sul lungo termine per proteggere il futuro su questo pianeta. Tutto questo fa parte di Pope Joan: il nostro è un progetto che supporta la moda slow attraverso l’upcycling e cerca di offrire alle persone un’alternativa conscious nel settore dell’abbigliamento vintage e streetwear.

Quando è diventato così veloce il settore del fashion?

Facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire quando è avvenuta questa estrema accelerazione nel mondo fashion.

Quando il filato e il tessuto venivano fatti a mano, prima dell’Ottocento, era consuetudine che le persone possedessero pochi abiti. Questi venivano adattati alle stagioni e i nuovi “acquisti” venivano fatti poche volte l’anno. Il movimento slow va proprio in questa direzione: buy less, buy better!

Con l’avvento del progresso tecnologico, come ad esempio le macchine da cucire, e quindi la notevole riduzione dei costi di produzione e delle tempistiche, fecero aumentare i profitti delle aziende di abbigliamento. I sarti cercarono un'altra opportunità di risparmio esternalizzando il lavoro a persone che potevano lavorare dalle loro case con salari molto più bassi, i cosiddetti "magliari". Questo portò a problematiche che ancora oggi affliggono la nostra società: le condizioni di lavoro all’interno delle fabbriche erano pessime. La produzione del cotone, ad esempio, prevedeva l’utilizzo di sostanze chimiche dannose per l’essere umano, come l’arsenico e il mercurio. 

Nella metà del secolo successivo la produzione di abbigliamento continuò a evolversi e a crescere, ma la svolta avvenne con la Seconda Guerra Mondiale. L’abbigliamento fu razionato, vennero imposte norme sul design e le scorte di materiale scarseggiavano. Per questo motivo, e nel tentativo di risollevare gli animi, i governi introdussero un'iniziativa in base alla quale gli stilisti dell'alta borghesia avrebbero creato una dei modelli alla portata di tutti: gli abiti standardizzati venivano prodotti in serie e per le classi lavoratrici ciò significava che, per la prima volta, avevano accesso a vestiti di qualità migliore ad un prezzo accessibile.

Quando la società si abituò a questo nuovo livello di abbigliamento prodotto in serie, la domanda aumentò su larga scala nel corso dei 50 anni successivi. Le aziende cercavano modi nuovi e innovativi per contenere i costi e massimizzare i profitti; l'approccio più popolare fu l'esternalizzazione della manodopera in paesi emergenti come India, Bangladesh, Pakistan e Cambogia. Questi luoghi sono diventati famosi per avere alcune delle peggiori condizioni di lavoro del pianeta, ma il basso costo e i potenziali profitti erano, e sono tuttora, troppo allettanti per essere rifiutati dai marchi. 

Non è facile individuare l’esatto momento in cui la fast fashion ha preso il sopravvento, mettendo da parte tutti quei principi fatti di sostenibilità ed eticità. Però è arrivato il momento di iniziare una rivoluzione nel mondo della moda, perché è evidente che non si può andare avanti a questa velocità disumana.

Che impatto ha tutto questo sull’ambiente e sulle persone?

L’impatto negativo che l’industria della moda ha sull’ambiente è ormai evidente e, soprattutto, irreversibile. Acqua contaminata, rifiuti a dismisura, inquinamento da carbonio ai massimi storici: non si può andare avanti con questa produzione. Ma quello a cui molti forse non pensano è l’effetto che il fast fashion ha su chi lavora in questo settore e sulle loro famiglie. Salari bassi e condizioni di lavoro estremamente precarie sono all’ordine del giorno; e tutto questo per produrre capi che verranno venduti a bassissimo prezzo per essere indossati, nella migliore delle ipotesi, un paio di volte.

I brand di fast fashion spostano tutta la parte del processo produttivo in fabbriche di abbigliamento localizzate in Paesi estremamente poveri, dove la manodopera ha un costo molto basso e le norme vigenti sono pressoché inesistenti. I lavoratori vengono pagati pochissimo e i turni di lavoro sono disumani per poter rispettare le scadenze e stare al passo coi trend.

In questi casi, il prezzo basso è una priorità, viene prima anche della salute delle persone. Questi lavoratori non possono fare altro che accettare questi contratti, guadagnare poco è comunque meglio che non guadagnare niente. E qui inizia un effetto a catena senza via di uscita: i materiali hanno dei prezzi fissi, quindi le perdite vengono recuperate tagliando i salari, costringendo i dipendenti a lavorare più ore o rinunciando a standard di salute e sicurezza.

Se vi state chiedendo quindi come fa una t-shirt a costare 5 euro, questa è la risposta. Ed è qui che emerge la vera differenza della slow fashion: dalle persone ai materiali selezionati con cura, dietro ad ogni fase c’è un pensiero fatto di sostenibilità. 

Come posso sostenere questo movimento?

Se nel vostro piccolo, volete fare qualcosa per sostenere questa mentalità più etica di fare acquisti, ecco qualche consiglio. La prossima volta che volete comprare un nuovo capo, ponetevi queste domande:

  • Lo indosserò un numero considerevole di volte? 
  • Si abbina bene agli altri capi che ho già all’interno dell’armadio?
  • È abbastanza versatile da poter essere indossato in diverse occasioni?
  • Il materiale resisterà nel tempo

Il modo migliore per essere dei sostenitori attivi dell’ecofashion e uno stile di vita e di acquisto più sostenibile è quello di privilegiare quei capi “investimento”, rispetto a quelli di fast fashion destinati a durare una stagione o poco più. Acquistare capi di seconda mano e/o farlo dai venditori locali, come ad esempio ai mercatini vintage, è sicuramente una scelta di acquisto molto più etica e sostenibile. Nell’ottica slow, attraverso tecniche come l’upcycling, anche i capi ormai “finiti” possono avere una nuova vita. Se decidete di spendere i vostri soldi in un capo, vorreste che durasse il più possibile giusto? Se tutti noi adottassimo un approccio più ponderato e considerassimo effettivamente ciò che è stato prodotto per i nostri abiti, potremmo prendere decisioni di acquisto più consapevoli e coscienti.

Il fast fashion riuscirà mai a rallentare?

I cambiamenti fondamentali che dovrebbero essere applicati al modello di business del fast fashion sono così grandi che riteniamo irrealistico che un marchio di fast fashion possa avere una svolta totalmente green. Tuttavia, se riusciamo a combinare gli sforzi dei marchi, dei consumatori e dei governi, c'è la possibilità di apportare miglioramenti. I Millennial sono sempre più propensi a uno stile di vita più sostenibile ed etico, ci chiediamo se a un certo punto le aziende di fast fashion si troveranno in una situazione di "sink or swim". Adottare un approccio proattivo ora potrebbe essere la migliore possibilità di adattare la propria attività a ciò che il futuro riserva. 


Pope Joan Lab è un progetto che cerca di andare contro le regole dettate dalla moda fast, che in ogni sua azione sostiene i temi su cui fonda le sue radici: libertà di espressione, sostenibilità e inclusione. Scoprite questo mondo e il nostro concetto rivoluzionario di moda: è ora online la nostra nuova collezione.



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